In questo difficile tempo quaresimale, il mistero spirituale del deserto sembra essere divenuto improvvisamente la drammatica realtà quotidiana di gran parte del pianeta. Osservare le nostre città, le più grandi metropoli del mondo letteralmente svuotate da una settimana all’altra, sotto un sole insistente e già primaverile, risveglia in noi tutti un’inquietudine direi ancestrale, più profonda e più complessa della semplice paura del vuoto. Ci sentiamo in qualche modo in gabbia, in pericolo, ci sentiamo fondamentalmente impotenti di fronte ad una condizione incerta, che sembra prendere in poco tempo vie imprevedibili, tra una visione catastrofica e una troppo blanda o confusa che ci viene ininterrottamente trasmessa dai mezzi di informazione.
La paura c’è. O quantomeno il disagio, la preoccupazione, la forte ricaduta economico-sociale, e finché l’emergenza continuerà non possiamo fare altro che imparare a conviverci.
La domanda che però quasi nessuno sembra farsi è: c’è soltanto questo? Siamo sicuri che un evento di questo tipo, assolutamente unico nella storia degli ultimi decenni, non abbia a celare un senso più vasto e complesso, non riducibile alle sue conseguenze immediatamente negative?
Se ascolto in profondità questa condizione globale in relazione alla fase storica che stiamo attraversando, al di sotto dello sconcerto e della paura percepisco paradossalmente un senso di verità, di tranquillità, un incremento inatteso delle energie sane e costruttive. È come un’occasione di nuova presa di posizione e di forza entro me stesso, in ciò che è più essenziale e impellente nella mia esistenza. Mi sembra, in fondo, che tutto questo ci stia costringendo a vederci chiaro, molto più di prima, su ciò che siamo e sul sistema psico-planetario che abbiamo sempre dato per scontato.
Il confronto interiore con una situazione estrema, in altre parole, può aiutarci a ricordare che la “normalità” nella quale siamo comunemente immersi – come umanità globalizzata – è molto più inquietante e spaventosa di quello che vorremmo raccontarci. Non a caso l’allarme del Coronavirus è scattata in Italia proprio in coincidenza del sabato di Carnevale, quando in molti si sarebbero trovati a celebrare la mascherata universale dei corpi e delle anime, la quale fa a sua volta da ciliegina alla macchina perfetta della distrazione/distruzione neoliberistica che ci sta da tempo portando a sfracellarci, in un clima di totale anestesia artificiale e (anti)depressiva.
Questa coincidenza, che ben pochi hanno rilevato, non può essere un caso. Così come è tragicomico credere che sia un caso se questo virus attacca il mondo intero per mesi proprio nell’anno 2020, al principio del terzo decennio del terzo millennio dopo Cristo, accompagnato inoltre dall’allineamento planetario di Marte Giove Saturno Plutone e dall’eccezionale passaggio di un asteroide (dal diametro di ben 4 km) a pochissima distanza dall’orbita terrestre.
Se Cristo ci invita con autorità a riconoscere i segni dei tempi (Mt 16,2-4), perché non dovremmo credere che una pandemia mondiale come questa non racchiuda un significato misterioso ma preciso per la storia della Salvezza: la salvezza di ognuno di noi innanzitutto, e quindi dei popoli, nel giovane secolo in cui stiamo penetrando? Probabilmente occorreranno anni perché si palesi una risposta ad una domanda come questa. Ma già ora a mio parere possiamo, se solo lo decidiamo, accogliere questo scenario con uno spirito apocalittico e misticamente moderno, ossia: escatologicamente sereno e cata-stroficamente fiducioso nell’avanzare inesorabile della Verità tra le crepe dolorose dei tempi mortali.
Questo è d’altronde lo spirito che prepara il mondo alla Pasqua, non a caso preceduta dal lungo svuotamento dell’anima nel deserto e dal tremendo accadimento della Passione.
Il deserto: l’occasione di un ricominciamento radicale. Avventura inattesa, apertura di spazi che prima non si sarebbero mai potuti dare. Soprattutto se le cose si mettono male. Il dolore e il pericolo possono essere grandissimi. Ma come Hölderlin ci ha cristologicamente insegnato, non si dà alcuna possibilità di salvezza né di rinnovata conversione al di fuori di questo Luogo, abissalmente potenziale e imprevedibile, dello spirito. L’invito è alla sfida, più profonda, più incondizionata.
Un invito a credere in un’altra possibilità di umanità e di mondo, con più forza, più disincanto e più visionaria allegrezza che mai.