Quantcast
Channel: Darsi pace
Viewing all articles
Browse latest Browse all 131

Io resto a cuore

$
0
0

I gruppi territoriali della Lombardia si sono attivati per mantenere i loro appuntamenti mensili durante la pandemia attraverso i mezzi offerti dalla telematica; hanno voluto condividere emozioni, riflessioni, vissuti di questo tempo provando a viverlo come tempo di cura che abbraccia – nonostante la distanza fisica richiesta – ogni aspetto dell’esistenza e già da ora prepara il “dopo”. La seconda fase da poco iniziata evidenzia la necessità di riconoscere e curare la paura che abbiamo incorporato per portare nella quotidianità ciò che di buono abbiamo assaporato durante l’isolamento e la reclusione.
Il gruppo di Milano desidera condividere le riflessioni emerse nell’incontro mensile di Aprile.
Bruno Marcotti, referente del gruppo, ne ha fatto un resoconto riprendendo i fili variamente tessuti e colorati offerti dai praticanti presenti che ha intrecciato ai suoi pensieri.

Sono sottolineati per distinguerli gli spunti ricevuti ascoltando, mentre le sue considerazioni sono aggiunte in carattere normale.

Questo è anche un momento apprezzabile di vuoto e raccoglimento.
Il cambio di ritmi di vita è stato repentino, ma questo shock ha evidenziato in molti di noi un bisogno presente da tempo sotto traccia, di rallentamento, di respiro meno affannoso e più consapevole nel fare le cose di ogni giorno.

E’ mutata la qualità del tempo.
Le giornate mi scorrono senza intoppi, fluide; passano veloci ma scandiscono un tempo più denso, come una nuova creazione (Gen. 1,5: “E fu sera e fu mattina…” ): niente è nuovo, ma viene vissuto in modo più consapevole, non solo soggettivamente, ma per milioni di persone, accomunate dall’esperienza del contemporaneo isolamento, come mai prima avvenuto.
Potrebbe essere un nuovo inizio, appunto.

Non dovremmo ripartire, ma ricominciare.
Fare di questa situazione un’occasione di ricominciamento, un nuovo inizio, appunto.
Questa è anche un’occasione; non poteva avvenire in un momento più simbolico della Quaresima, perché la coincidenza ha dato al tempo liturgico spesso vissuto come routine, un senso allargato, pienamente e radicalmente umano, direi sovra-confessionale, mai come prima reale e intenso, anche per un non-credente.
Per guardarci meglio dentro e confrontarci con gli altri che si fanno simili domande.

In pochissimo tempo abbiamo cambiato tutti i nostri ritmi di vita.
Questo significa che sotto la spinta di una necessità sanitaria (che ribalta le priorità: non più lo sviluppo e la ricchezza al primo posto), ciò che era considerato impossibile, è avvenuto: ovvero il blocco del traffico, dei voli aerei, dei trasporti e delle vacanze (spesso inutili), degli acquisti inessenziali e compulsivi, ecc., tutto questo è stato stoppato in brevissimo tempo.

Potremmo davvero cambiare lo stato delle cose.
Certo con una saggia gradualità per evitare traumi o contraccolpi contrari, ma la vita del pianeta intero potrebbe migliorare davvero.
L’inquinamento diminuito notevolmente, gli animali riapparsi anche in spazi abitati, il silenzio che permette di udire il canto degli uccelli pure in città, e una pulizia inusuale delle strade (niente cartacce, mozziconi di sigarette, né lattine e bottigliette abbandonate solitamente sui marciapiedi e nel verde) sono segni di questa reazione positiva sulla Natura, determinata dallo stop ai ritmi accelerati e innaturali della nostra vita precedente.
Ma la situazione resta ambigua.

Quanta è la parte di umanità consapevole che vuol davvero cambiarsi e quale quella che vuol solo ripartire come prima?
Noi ci incontriamo, cerchiamo il dialogo con altri che percorrono strade convergenti e sembra esserci un grande moto comune cosciente e determinato. Ma quanti siamo a sentire e vivere davvero il cambiamento? Se ci confrontassimo apertamente, lasciando cadere certi concetti e parole d’ordine, che a volte velano o nascondono le differenze profonde, quanto ci ritroveremmo davvero uniti aldilà delle parole?
L’esempio secolare delle religioni lo evidenzia: tutti quelli che si dicono appartenere ad una stessa fede credono di fatto, pensano e vivono, cose diverse. Finché si parla in astratto si converge; quando si tratta di scegliere cosa fare e come, ecco che l’unità astratta si frammenta, escono le differenze caratteriali le vicinanze e distanze, le antipatie “di pelle”, che se non si vuol essere ingenui o superficiali non si possono fingere inesistenti. E’ la realtà di ognuno che cozza con quella altrui, ineludibile, reale, carnale. Contro ogni astratta unità ideologica, religiosa, formale.
Con parole e bei discorsi si elude il problema; non lo si affronta.

Di fronte alle incertezze della situazione, io posso decidere di stare dalla parte della volontà creativa positiva, senza recriminare o accusare; a costo di allontanare certe persone/situazioni che vanno in senso contrario.
Preservare e asserire con onestà la propria idea/sensibilità, anche se questo può non essere capito o apprezzato.
Questo in particolare mi tocca. La situazione evidenzia anche tra amici alcune forti differenze di atteggiamento, sintetizzabile tra chi si scarica di responsabilità vedendo solo la (ir-)responsabilità altrui e chi si astiene, preferendo il silenzio e lo scandaglio interiore.
Aspiro a imparare questo secondo modo di essere, per arrivare al fondo dove è calma e silenzio, quello che permette di accedere alla forza di essere se stessi, non per contrapporsi ad altri, ma per onestà e amore di verità.

Potrebbe essere un momento di cambiamento positivo, ma potrebbe anche essere una svolta peggiorativa (socialmente e politicamente).
Ogni crisi è una porta aperta basculante; siamo sulla soglia, potremmo andare da una parte o dall’altra, essere solo spinti, oppure comprendere meglio e decidere dove si vuol andare. Ma questa ambiguità mi ricorda opportunamente che sempre vivere è incertezza, quindi dubbio e scelta. Non c’è giusta soluzione, ma la migliore tra altre peggiori, senza certezza del risultato. Decido di voler perseguire una strada per “fiducia”, non perché ho la garanzia del successo.

Siamo come i malati: vogliamo cambiare vita quando stiamo male, ma poi risanati, torna tutto come prima, ci dimentichiamo.
Ricordare è una necessità. Tendiamo a dimenticare: quant’è vero! Quando si sta nel pericolo capiamo cose e facciamo propositi che senza quella spinta esteriore non avremmo mai fatto. Ma poi l’abitudine ci soverchia e dimentichiamo.
Anche la filosofia e il culto religioso hanno ribadito la necessità di continuare a ripetere per capire meglio e per tenere la giusta direzione dello sguardo.
I riti e i doveri quotidiani possono aiutarci a comprendere questa necessità.
E’ fatale dimenticarsene; è una scelta consapevole e libera cercare di ricordare.

Non è vero che non abbiamo tempo (come spesso si dice); noi non dominiamo il tempo, non lo abbiamo, ma siamo nel tempo!
Possiamo imparare a vivere il quotidiano che sembra solo ripetitivo, standoci dentro, senza lasciarlo diventare un meccanismo inconsapevole.
Essere nel tempo è creatività, ognuno è creativo se fa nascere se stesso.
Noto come i miei gesti quotidiani dopo il risveglio ad esempio, in precedenza compiuti di fretta, hanno acquisito con la lentezza una consapevolezza preziosa che dà loro un riverbero luminoso, il gusto del “piccolo fare” di ogni giorno, della semplice meraviglia di essere vivi. Dirlo è già troppo, aggiunge parole: quel che conta è la semplice verità del vissuto ordinario che non è più un movimento meccanico, ma assume la dignità del gesto rituale. Aprire la finestra al mattino per far entrare luce e aria è “laico”, ma l’attenzione gli conferisce un significato che va oltre; restando dove siamo, andiamo “oltre”. Una Incarnazione che possiamo sperimentare tutti.

 

 


Viewing all articles
Browse latest Browse all 131

Trending Articles